Si chiama “RimanDati” e rappresenta il Report nazionale che indaga sullo stato della trasparenza degli enti territoriali in materia di beni confiscati a Cosa Nostra. Il bilancio scaturito per il Comune e la Città Metropolitana di Messina è totale inadempienza derivante dall'assenza di informazioni e elenchi sui siti istituzionali.
Simboli del potere sono le ville hollywoodiane confiscate alla MAFIA. Ma non solo, terreni, appartamenti, locali, box, cantine.
C’è la villa di Michelangelo Alfano, boss nativo di Bagheria, morto suicida nel 2005 e referente messinese di Cosa Nostra, quattrocento metri quadrati, piscina olimpionica, protetta dagli sguardi indiscreti, a Rodia. Nelle acque del Tirreno amava fare il bagno anche il boss messinese Luigi Sparacio, che a Rodia possedeva una villa che si affaccia sulla statale 113, al km 28,225. Anch’essa sequestrata. Ci sono i due appartamenti di Lillo Sollima (personalmente mai condannato per mafia), ma anche case a mare, ad Acqualadroni. E poco fuori città, tra Villafranca a Torregrotta, ci sono ventiquattro tra abitazioni, locali, cantine, box, terreni di Santo Sfameni, che aveva a disposizione più beni di un’agenzia immobiliare.
In Sicilia su 207 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati (in totale sono 3180 i beni destinati), ancora il 43% dei comuni non pubblica l’elenco sul proprio sito internet. Il comune di Messina e la città metropolitana di Messina totalmente inadempienti: nessuna informazione e nessun elenco sui loro siti istituzionali.
Libera presenta la terza edizione di “RimanDATI”, il Report nazionale che indaga lo stato della trasparenza degli enti territoriali in materia di beni confiscati, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e, quest’anno, anche con un prezioso contributo di ISTAT.
Riteniamo fondamentale – commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – che accanto ai percorsi mirati a garantire il riutilizzo sociale, anche la conoscibilità e la piena fruibilità dei dati e delle informazioni sui patrimoni confiscati siano elementi di primaria importanza. In questo contesto, la trasparenza deve essere considerata anch’essa un bene comune, confortati dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli enti locali di mettere a disposizione di tutte e tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. RimanDATI – prosegue Tatiana Giannone di Libera – è uno strumento per attivare rapporti con il mondo degli enti territoriali di prossimità, che sono ingranaggio fondamentale dell’intera filiera della confisca e del riutilizzo, e per far crescere in modo esponenziale le storie di rigenerazione intorno ai beni confiscati, preservando lo strumento della confisca nel suo senso risarcitorio più profondo. Stiamo attraversano un periodo in cui dal governo arrivano segnali contrastanti sul sostegno agli enti locali: basti pensare a tutte le misure de finanziate all’interno del PNRR, fino ad arrivare al disegno di legge sull’autonomia differenziata, che bloccherebbe lo sviluppo di intere aree del nostro Paese. Inoltre, sempre di più prende piede un approccio privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati: nel dibattito pubblico si parla del tema della vendita e della rimodulazione delle misure di prevenzione, si banalizzano le criticità che affliggono la materia e si rafforza la brutta abitudine a piegare i numeri ai propri fini. Messaggi che convergono su una lettura superficiale e ingiusta, a partire dalla quale si getta un discredito generalizzato su uno strumento che, invece, ha consentito una vera e propria rivoluzione. Lo ribadiamo con forza e convinzione: combattere le mafie e la corruzione vuol dire attivare percorsi di giustizia sociale e farsi gambe per i diritti dei cittadini e delle comunità.”
Poco si sa dei beni che palazzo Zanca dal 2010 ha incamerato nel proprio patrimonio, per varie ragioni: dalla mancata destinazione da parte di palazzo Zanca (correndo il rischio di deteriorarsi), all’occupazione abusiva da parte di qualcuno dei precedenti proprietari, fino all’impossibilità di utilizzo dovuta al fatto che sono totalmente abusivi, sconosciuti al catasto, costruiti in spregio a qualsiasi norma e legge. A disporre dell’utilizzo è un regolamento, approvato prima in giunta e poi in consiglio durante l’amministrazione di Giuseppe Buzzanca. Il concessionario ha una serie di sedici obblighi codificati dall’articolo 6: dalla stipula di polizza assicurativa a quello di tenere costantemente informato l’ente concedente, quindi il Comune di Messina, sull’attività svolta, l’obbligo di rispettare le norma in materia di lavoro, assistenza e previdenza e quello di mantenere inalterata la destinazione d’uso del bene concesso. Dal punto di vista dell’ordine pubblico, il concessionario ha obbligo di denuncia di qualsiasi evento che turbi “lo stato e la natura” del bene e quello, quasi lapalissiano, di trovarsi in ordine con la normativa antimafia. Parecchi anche gli oneri. Tra i quali le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e le spese per le utenze necessarie alla gestione.
A controllare sul corretto andamento della concessione (quasi sempre comodato d’uso per sette anni, rinnovabili con proroga di 40 mesi) è la Polizia municipale. Fuori dall’immobile, una targa di sessanta centimetri per trenta, in caratteri rossi su fondo bianco con al centro lo scudo di palazzo Zanca, recita la frase: “bene confiscato alla mafia, patrimonio del comune di Messina”.
di Tania Barbato
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