Dimezzare la presenza delle donne nella politica siciliana? Per Emilio Miceli, presidente del Centro Studi Pio La Torre: “Siamo davanti a un arretramento culturale progressivo delle classi dirigenti di governo. Staremo a vedere nei prossimi giorni se l’Ars farà marcia indietro”.
Il Centro Studi “Pio la Torre” ha partecipato nelle scorse settimane, in un incontro all’Ars, per appoggiare e sostenere la battaglia contro la norma inserita nel nuovo Ddl enti locali, che dimezza la presenza delle donne - dal 40 al 20 per cento - nelle giunte comunali siciliane.
“Vedremo se, nei prossimi giorni, l’ARS farà marcia indietro in aula rispetto alla prevista norma. Di sicuro – afferma Emilio Miceli, presidente del Centro Studi Pio la Torre – è che la pressione delle donne e dell’associazionismo democratico sta costringendo l’Assemblea regionale siciliana a riflettere. Questo significa che bisogna tenere alta l’attenzione per potere giungere a un risultato che esalti la civiltà di fronte all’arretramento culturale a cui assistiamo in questi giorni”.
Sempre secondo Miceli, la verità è che, alla base di tutto, c’è un'idea malsana della politica, del ruolo e degli spazi che le donne devono avervi, non solo qui ma anche nella società. Ci sarebbe, quindi, bisogno di un ripensamento profondo. “Affinché le donne abbiamo eguali diritti nel governo della cosa pubblica – conclude il presidente del Centro Studi -, nel governo delle aziende, nel governo degli enti, all'interno delle istituzioni. Un atto estremo di difesa degli equilibri politici che da sempre hanno il segno dell’emarginazione delle donne. Antichi e mai superati equilibri politico - correntizi che, in tal modo, rischiano di non potere essere mantenuti».
Alcune deputate e alcuni deputati hanno formulato un appello alla mobilitazione che in 48 ore è stato sottoscritto da oltre mille persone. In una Regione che conta appena 19 sindache su 391 comuni siciliani e neanche una sindaca in tutti i Comuni delle 3 province di Caltanissetta, Enna e Siracusa, la quota del 20% suona come una vergognosa elargizione, una elemosina che offende la dignità delle donne, ma anche la democrazia tutta. Ecco perché il suddetto appello è stato sottoscritto, come prime firmatarie, da 20 rappresentanti delle istituzioni (consigliere comunali e deputate) di tutti gli schieramenti politici, perché finalmente, grazie anche e soprattutto alle lotte di grandi donne che ci hanno preceduto, i diritti delle donne sono appannaggio di tutti ed è dovere e responsabilità di ciascuna/o portarli avanti, nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione italiana, che cita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Appare quasi anacronistico parlare di Donne che rivendicano i diritti ai loro spazi dentro e fuori dai Palazzi, al lavoro e nelle istituzioni. Solo ieri, 24 ottobre 2024, ascoltavo le dichiarazioni di Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita un’associazione di cui ignoravo l’esistenza ma che sta prendendo piede a livello nazionale, tant’è che si autoattribuisce il merito delle dimissioni di Francesco Spano, capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli, che i Pro Vita definiscono Pedelasta.
Ma non voglio entrare in merito a questa vicenda voglio solo riprendere quanto da loro sostenuto sul ruolo della Donna.
“Le donne di oggi lavorano in casa e fuori casa, sono sempre costrette a rispettare dei canoni stereotipati, (di efficienza, di bellezza, di prestanza...) e vivono in un continuo stato di stress, che non giova né a loro, né a chi sta loro attorno”.
A conferma di ciò riportano uno studio, ovviamente americano, come se gli USA fossero i portatori del sapere, dell’Ohio State University, dal quale i ricercatori deducono che le donne che lavorano – in maniera continuativa negli anni – dalle quaranta ore a settimana in su hanno maggiori probabilità di incorrere in malattie quali il diabete, il cancro, problemi cardiaci e l’artrite. Negli uomini questo non succede, anzi avviene il contrario: chi lavora di più, rimane sano più a lungo. Per i Pro Vita, insomma, l’inseguire la parità per le donne è dannoso, considerato che la parità è intesa come omologazione al modello maschile. Ma la domanda è: allora la donna invece di scimmiottare l’uomo come dovrebbe realizzarsi? Ebbene le donne si realizzano nella maternità, non nel successo lavorativo. Ed ecco perché si vedono sempre più donne stressate, tristi, che puntano tutto sull’apparire: hanno perso loro stesse, la loro più intima identità! Quindi riscoprire la sana differenza tra uomini e donne è l’emergenza del nostro tempo. Solamente così la società ritroverà un ordine, la famiglia tornerà ad essere il nucleo fondante del vivere sociale, la natalità tornerà a crescere e torneranno ad esserci padri e madri... E solamente così tante malattie del nostro tempo scompariranno e uomini e donne si potranno riscoprire più felici, perché certi di essere al proprio posto, di aver trovato il modo per dare un’adeguata risposta alla propria vocazione maschile e femminile.
Questo il loro delirante pensiero. Pensavo di perdere tempo dietro a tali assurdità fino a quando non sono incappata nel nuovo DDl della Regione Sicilia. E questo arretrato modo di relegare la Donna a quegli spazi che l’uomo concede loro mi porta a pensare a come negli istituti dove le grandi menti la fanno da padrone come il CERN per citarne uno, non interessa a nessuno quale sia la tua natura sessuale ma solo l’espressione del tuo pensiero.
Le deputate del movimento 5 stelle Josè Marano e Roberta Schillaci hanno duramente criticato l’abbassamento della soglia. Ma appena il DDl sbarca in Assemblea, anche la maggioranza si spacca visto che alcune delle firmatarie contro sono proprio del Centro destra.
Josè Marano: “Quando si parla di parità di genere e di diritti sacrosanti non dovrebbero esistere schieramenti politici, se non il pensiero che una cosa è giusta o meno. L’equità tra uomo e donna prescinde dall’appartenenza partitica e la presa di distanza da parte di esponenti del Parlamento Siciliano da quella ridicola soglia del 20 percento non solo conferma quanto dico ma impone una seria riflessione sulla strada giusta da intraprendere per garantire pari trattamento tra uomo e donna”.
Roberta Schillaci: “In realtà, il Ddl sugli Enti Locali non è un abbassamento ma è un NON recepimento di una norma nazionale del 40%, previsto anche da leggi nazionali sulla parità di genere. Non solo, ma previsto anche dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e soprattutto dall’articolo 51 della Costituzione.”
Josè Marano: “Partiamo dal presupposto che c’è una normativa nazionale che stabilisce un tetto minimo al 40 percento e che è stata ignorata. Al danno si è aggiunta la beffa perché non solo è stata ignorata una soglia che vale già su tutto il territorio italiano per i comuni sopra i tremila abitanti ma di fatto con uno scandaloso gioco al ribasso tale soglia è stata abbassata al 20 percento. L’ho detto anche in aula, non si fanno le passerelle per parlare di parità di genere se poi quando è il momento di legiferare si va in un’altra direzione. Il mio emendamento propone che si porti la soglia al 50%, non comprenderei una soglia inferiore se si parla di parità”.
Roberta Schillaci: "Nel resto d’Italia si è recepita la norma della legge 56 del 2014. Quindi, anche noi proveremo a far recepire, innanzitutto chiedendo un 50%. Pertanto, abbiamo depositato come Movimento 5 stelle gli emendamenti al testo dove chiediamo il 50% di rappresentanza, ma che almeno venga rispettata e recepita la norma nazionale che prevede la legge 56 del 2014 quindi il 40% con arrotondamento aritmetico.”
Oggi dovremmo tutti scendere in piazza con il pensiero rivolto alle Donne del passato che hanno dovuto lottare per conquistare quelle oggi ci sembrano cose scontate come il diritto al voto, alla libertà di scelta, all’indipendenza, all’autonomia, all’istruzione. Tutti insieme donne e uomini perché l’uguaglianza di genere è un concetto di giustizia sociale. Per concludere dobbiamo lottare per dare Potere alle Donne, un potere da intendere non come sostantivo, ma come verbo che ci dice tutto il possibile che vogliamo realizzare.
di Tania Barbato
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