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A trent’anni dalla strage di V.D’Amelio: prescrizione per Bo e Mattei. Ribaudo assolto



Il 19 luglio si celebra il 30esimo anniversario sulla strage di Via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta.

A pochi giorni dalla celebrazione, ieri  la corte del Tribunale di Caltanissetta, presieduta da Francesco D'Arrigo, dopo una decina di ore di camera di consiglio, è arrivata a pronunciare la sentenza riguardante uno dei processi nell’ambito del depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. 

Pur attendendo le motivazioni della sentenza, lascia il segno, per usare una sintesi delle parole dell’avv. Trizzino, la prescrizione condotta allo Stato per aver esercitato con ritardo la potestà punitiva. I fatti risalgono a 30 anni fa, ma è comunque tramite queste, che si potranno comprendere le ragioni che hanno portato a questa conclusione.

Intanto dal dispositivo, i giudici hanno ritenuto che seppure Mario Bo e Fabrizio Mattei fossero consapevoli delle false accuse di Scarantino, non hanno agito allo scopo di favorire la mafia e quindi da quì la decadenza dell’aggravante mafiosa di aver favorito Cosa nostra imputata dalla Procura. 

Un processo questo, cominciato a Caltanissetta il 5 novembre del 2018. Oggi, trascorsi circa quattro anni, pur confermando il depistaggio delle indagini sull’attentato commesso dai due imputati poliziotti Bo e Mattei, ai sensi dell’art. 531 cpp è scattata la prescrizione, e con il venir meno dell’aggravante di mafia, gli imputati si salvano dalla condanna. Mentre esce assolto per non aver commesso il fatto Michele Ribaudo, terzo imputato e loro collega.

Viene respinta quindi  la tesi della procura di Caltanissetta che durante la requisitoria, aveva chiesto condanne ai poliziotti imputati: 11 anni e 10 mesi per Bo, e nove anni e mezzo per Ribaudo e Mattei oltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici perché, avrebbero costruito false verità sull’attentato costata la condanna ad otto persone innocenti. 

Secondo la Procura, gli imputati del pool incaricato di indagare sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio, con a capo, A. La Barbera, poi deceduto, avrebbero creato falsi pentiti costringendoli a mentire e ad accusare della strage persone poi rivelatesi innocenti (da qui la contestazione di calunnia).

Il Tribunale, nel frattempo, ha trasmesso alla Procura gli atti delle dichiarazioni rese a processo da Scarantino per le valutazioni in ordine all’eventuale esercizio dell’azione penale nei suoi confronti per il reato di calunnia. Si apprende inoltre che sono stati inoltre trasmessi con l’ipotesi di falsa testimonianza anche gli atti relativi alle deposizioni di altri 4 poliziotti.




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