Qualche giorno fa ho conosciuto Tatiana, ragazza di 28 anni con un meraviglioso bambino di 2 anni.
A pelle si è instaurata subito un’empatia reciproca, guardandoci soltanto negli occhi nei primi minuti dell’incontro.
Tatiana vive in Sicilia dall’età di 8 anni, quando venne adottata da una coppia, che le ha regalato tutto l’amore del mondo.
La sua vita non è stata facile. Le sono morti entrambi i genitori in tenerissima età e, assieme al fratello, fu messa in un orfanotrofio a Ljubotyn.
Dopo qualche anno venne separata dal fratello, il quale venne trasferito ad altra struttura, rimanendo così privata anche di quell’affetto. Poi finalmente l’adozione, e alla domanda della direttrice dell’istituto se avesse voluto essere adottata, non ha esitato neanche un minuto a rispondere affermativamente.
Perché oggi questa narrazione?
Tatiana è ucraina.
Mentre parlava con me, ho potuto notare la voce e le mani tremolanti, i suoi occhi lucidi, ma in essi traspariva fortemente tutta la fierezza delle sue origini.
Non smetteva di guardare il telefonino perché è in contatto continuo con quel fratello di cui per anni aveva perso le tracce. Mi ha confidato se chiama e il fratello non risponde va subito nel panico e pensa al peggio.
Fino a ieri Dienis si trovava a Kharkiv, chiuso nel suo ufficio perché non ha un posto dove andare e casa sua non possiede un rifugio.
Ha ventinove anni e lavora, ma l’altra mattina si è svegliato con il boato dei bombardamenti senza conoscerne il motivo.
Tatiana racconta: “mio fratello mi invia foto e video di quello che succede veramente, le immagini che si vedono nelle tv spesso non sono vere, lì le cose stanno un po’ diversamente, sono molto più dure e pesanti, continuano a morire civili, vittime innocenti; la realtà è molto più cruenta”. Aggiunge: ”nella città di Kharkiv milizie ucraine controllano il territorio, perquisendo ogni persona, perché, a suo dire, i russi si camuffano con le tute ucraine, mimetizzandosi così per avere più facile accesso. Quando sono in videochiamata con mio fratello sento forte le esplosioni, e lui mi rassicura dicendomi che non sono poi così tanto terribili”.
Mentre racconta noto che le sue mani non smettono di tremare.
Mi confida che non riesce più a dormire, né a vivere normalmente, pensando a tutto quello che succede nel suo Paese. Pensa al nipote Stasic, che si trovava a Kiev a frequentare l’università, ma non sa esattamente dove adesso si trovi, se è al sicuro o no.
Chiama anche la sorella maggiore Larissa, la madre di Stasic, che è terrorizzata per la sorte del figlio.
Lei vive nel villaggio di Pechenihy tra Kharkiv e Donetsk, ma è isolata. Gli abitanti del villaggio hanno fatto saltare i ponti sui fiumi per rallentare l’avanzata dei soldati russi. Determinando però l’effetto collaterale di rimanere soli e isolati.
“Come possono uscire dall’Ucraina?” – mi chiede Tatiana disillusa – “credo che non possano riuscirci perché i centri sono lontani da raggiungere, non ci sono più mezzi, non è sicuro e il freddo è anche un nemico da non sottovalutare; e poi dove potrebbero andare? Tutto intorno il confine è russo”.
E ancora “come faranno gli aiuti umanitari ad arrivare in quelle zone se sono tutte confinanti con la Russia?”
Il suo pensiero ritorna poi al fratello, al quale vorrebbe suggerirgli di scappare ma poi teme che se lo scongiurasse di partire e gli dovesse succedere qualcosa, non se lo perdonerebbe mai.
E’ un continuo susseguirsi di emozioni, domande, riflessioni.
Aggiunge: “Ormai è quasi certo che Deinis e Stasic, devono andare a combattere, ma come faranno? Non hanno mai visto né usato un’arma. Mio fratello non vuole toccare nessuna arma ma mi dice che lo farebbe solo se costretto. Oggi ha deciso di arruolarsi per aiutare il suo paese e le persone che hanno bisogno di lui.
Ho chiesto a Tatiana cosa pensasse di Putin e del popolo russo e senza mezzi termini mi ha risposto che Putin è un criminale, che li ha accusati di essere nazisti, ma invece è il suo gesto che tende a trasformare la loro terra in un grandissimo lager nazista, poiché intende assediarli, chiuderli e bombardarli.
Mi confessa che se pur è l’esercito russo ad averli invasi, lei non prova odio verso il popolo della vicina nazione, li considera suoi amici e fratelli, anche se rimprovera loro di non ribellarsi al despota, seppur convinta che non lo fanno in mala fede, ma che essendo stati sottomessi da sempre, non riescono a cogliere le basi della democrazia, soltanto perché non la conoscono”.
Ribadisce con forza e determinazione che il popolo ucraino vuole fare parte dell’Occidente e dell’Europa, non vuole tornare indietro come quando faceva parte della vecchia Unione Sovietica; non vuole rinunciare alla libertà, e aggiunge ancora che: “tutti i giovani si sentono europei, sono gli anziani a far fatica e a rimanere dell’idea che la guerra di Putin sia giusta”.
Si chiede come e cosa possa fare per aiutare la sua famiglia.
Avverto che la sua è una richiesta disperata, la guardo con gli occhi lucidi e in quel momento non so cosa risponderle. Io stessa mi sento impotente, delusa, amareggiata, triste, incazzata.
Perché la guerra?
Immagino tutta la popolazione ucraina, mi immedesimo nel loro sentire. Chiudo gli occhi e sento il fragore delle bombe. Cosa faremmo noi se domani mattina ci dovessimo svegliare come i cittadini di Kiev o di Kharkiv?
La guerra riguarda ognuno di noi, nessuno può sentirsi estraneo. Sono i nostri padri e le nostre madri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri figli, i nostri amici.
Saluto Tatiana con un nodo in gola, lei guardandomi mi ringrazia per esserle stata vicina, per averla ascoltata, per averla compresa.
Io commossa fino al parossismo la ringrazio a mia volta per avermi dato la possibilità di farmi riflettere e di comprendere che la pace, il rispetto e la fratellanza sono le uniche cose che contano veramente.
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